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venerdì 29 maggio 2015

W la farina, W Chopin!

Verificare la qualità della farina e le sue proprietà nella fase di impasto, lievitazione e cottura non è una cosa semplice.
A questo scopo nei molini vengono ormai effettuate tutta una serie di misure chimiche e fisiche per classificare al meglio le farine prodotte.
Guardate ad esempio questa scheda tecnica di una farina:

Che cosa sono tutti quei dati? Visto che l’hobby della panificazione in casa prende sempre più piede, ho pensato di entrare un po’ nel dettaglio. 
Il Farinografo

Negli anni ’30 venne inventato il Farinografo di Brabender per registrare graficamente, su carta tramite un pennino mobile, la fase dell’impasto della farina con l'acqua. Nel Farinografo la miscela acqua e farina viene impastata meccanicamente e viene misurata la resistenza opposta dall’impasto in funzione del tempo.

Il farinogramma ottenuto è utile per misurare la percentuale ottimale di acqua da aggiungere alla farina per avere la giusta consistenza, il tempo di sviluppo dell’impasto (diciamo il tempo minimo di lavorazione necessario per sviluppare al meglio il glutine), la sua stabilità (quanto tempo di lavorazione può sopportare prima di iniziare la fase di rammollimento), e l’indice di caduta (in quanto tempo l’impasto perde la sua consistenza). Farine di bassa qualità non reggono più di 3 minuti di impastamento mentre farine di qualità eccellente possono reggere anche tempi di impasto superiori ai 10 minuti. La farina descritta sopra nella figura assorbe dal 55% al 57% di acqua e ha un tempo di stabilità tra gli 8 e i 15 minuti. Tempi di lavorazione più lunghi hanno come risultato il rammollimento dell'impasto.


L’alveografo

Un altro apparecchio, l’Alveografo di Chopin, inventato nel 1921 da Marcel Chopin, fornisce un indice che viene ormai comunemente utilizzato da panificatori professionisti e, ultimamente, anche dagli amatori: W, spesso un po’ impropriamente chiamato forza della farina.


Nell’alveografo viene soffiata dell’aria nel centro di un disco di pasta di peso e idratazione standard per produrre una bolla, in modo da simulare l’effetto della lievitazione, e misurare la capacità dell’impasto di trattenere il gas. Sotto l’effetto della pressione dell’aria insufflata la bolla si espande sino a rompersi. Il risultato di questa prova è un Alveogramma, che riporta un grafico della pressione (P) in funzione dell’estensione (L) della bolla di impasto.
Dall’area sottesa alla curva si può calcolare l’energia totale spesa per rompere l’impasto. Questa energia viene indicata con W (è il simbolo del lavoro, per questo dicevo che è un po’ improprio chiamarla “forza”) e rappresenta un indice globale di comportamento della farina. Qui sotto vedete, in giallo e in blu, due alveogrammi tipici.

Il massimo della curva identifica P, che rappresenta la tenacità del glutine, mentre L rappresenta l’estensibilità: più è elevata e più l’impasto è estensibile.
Ai fini pratici questi due parametri vengono combinati, dividendoli tra loro, per calcolare l’indice P/L. Il valore di riferimento è di 0.5. Una farina per biscotti avrà un valore di W e di P/L bassi (ad esempio W=100 e P/L = 0.4) mentre una farina per prodotti lievitati avrà W e P/L alti (ad esempio W=350 e P/L=0.6). Un valore di P/L troppo alto indica una farina troppo resistente e poco estendibile, di difficile lavorazione. Al contrario, un P/L troppo basso indica una farina poco resistente e troppo estendibile
Farine con W tra 90 e 160 sono dette ‘farine deboli’. Hanno un basso contenuto proteico, solitamente 9%, e vengono  utilizzate per produrre biscotti secchi o gallette. Farine con W compreso tra 160 e 250 hanno una forza media. Sono usate ad esempio per il pane pugliese o quello francese, per impasti diretti o lievitazioni brevi, per pizze e focacce.

( grafico tratto dal corso di tecnologia dei cereali del Prof. Franco Antoniazzi dell'Università di Parma)
In generale più un prodotto richiede lievitazioni lunghe più serve una farina con un W elevato, in modo da trattenere meglio l’anidride carbonica prodotta nella fermentazione. Il glutine è in grado di assorbire acqua per una volta e mezza il suo peso, quindi più è forte la farina e più è alta la sua idratazione. Si passa da una idratazione inferiore al 50% per le farine da biscotti sino a valori superiori al 70% per farine forti.
Farine con un alto W vengono chiamate “farine di forza” perché oppongono una grande resistenza alla deformazione del glutine. Con W tra 250 e 310 si ottengono pani come biove o baguettes.  Valori di W tra 310 e 370 si usano per pani particolari o prodotti a lunga lievitazione come panettoni, brioches e croissant. Esistono anche farine con valori di W superiori a 400, denominate Manitoba perché originarie di quella regione del Canada. Vengono denominate Manitoba anche se il grano corrispondente è ormai coltivato anche in Europa. Hanno un alto contenuto proteico e vengono spesso utilizzate in miscela con farine più deboli per aumentarne la forza.
Purtroppo i valori di W di una farina, disponibili sui sacchi per uso professionale e sui siti web dei molini, non sono riportate nelle confezioni ad uso casalingo e ci si deve accontentare del contenuto proteico: grossolanamente più proteine sono presenti più è forte la farina, a parità di tipo di farina (00, 0 etc...). La farina integrale contiene più proteine, provenienti dal germe e dalla crusca, tuttavia non sono tutte proteine che producono il glutine. È per questo che panificare con la farina integrale é più complicato.
Volendo preparare dei biscotti dobbiamo evitare che si formi il glutine, quindi dobbiamo usare delle farine deboli, a basso contenuto proteico e molto estensibili. Alcune preparazioni prevedono percentuali di proteine molto basse, attorno al 7%, ed è per questo che la farina (il cui contenuto proteico è come minimo il 9% per legge) viene miscelata a dell'amido e il prodotto venduto come "preparazione per torte e dolci".
Per prodotti lievitati invece abbiamo bisogno di farine forti. Più é forte una farina e più è lunga la lievitazione e ricordate che il volume finale del prodotto è correlato al contenuto proteico della farina.
Qui sotto potete vedere una tabella riassuntiva di massima (sempre presa dal corso di Tecnologia dei Cereali del Prof. Franco Antoniazzi, dell’Università di Parma)
W
P/L
Proteine
Utilizzo
90/130
0,4/0,5
9/10,5
Biscotti ad impasto diretto
130/200
0,4/0,5
10/11
Grissini, Crackers
170/200
0,45
10,5/11,5
Pane comune, Ciabatte, impasto diretto, pancarré, pizze, focacce, fette biscottate
220/240
0,45/0,5
12/12,5
Baguettes, pane comune con impasto diretto, maggiolini, ciabatte a impasto diretto e biga di 5/6 ore
300/310
0,55
13
Pane lavorato, pasticceria lievitata con biga di 15 ore e impasto diretto
340/400
0,55/0,6
13,5/15
Pane soffiato, pandoro, panettone, lievitati a lunga fermentazione, pasticceria lievitata con biga oltre le 15 ore, pane per Hamburgher
Ci sono altri parametri da considerare parlando di farina di frumento tenero e non abbiamo neanche iniziato a parlare di lieviti, di amido, di enzimi e della fase di cottura, ma credo che per ora possa bastare.
 Auguri.




Fonte http://bressanini-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2009/01/28/la-forza-della-farina/

giovedì 28 maggio 2015

Riconsolamose co' l'ajetto?

L'Unione europea ha assegnato all'aglio cinese Jinxiang il riconoscimento Igp. Ma le associazioni italiane non ci stanno e insorgono.



Se la maggior parte dei consumatori è avvezza ad aver a che fare con prodotti Igp (dai vini agli ortaggi, dai salotti televisivi ai banchi del supermercato), non tutti sanno che questo prestigioso riconoscimento di qualità può essere assegnato dall'Unione europea anche a prodotti non europei, nell'ottica di rendere compatibile la sua normativa con le richieste dell'organizzazione mondiale del commercio (Wto) e per facilitare gli scambi tra le diverse piazze commerciali.

L'aglio cinese è Dop
Non deve quindi stupire la notizia che la Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea (serie l numero 285 del 1° novembre 2011) ha pubblicato l'iscrizione dell'aglio cinese Jinxiang Da Suan nel registro delle denominazioni di origine protette e delle indicazioni geografiche protette.
La notizia non ha mancato di creare allarme tra i produttori italiani, già minacciati dal colosso orientale.
I cinesi, infatti, sono i più grandi consumatori e produttori di aglio a livello mondiale. I dati parlano chiaro: nel 2010 l'Italia ha importato direttamente dalla Cina quasi 2,5 milioni di chili di aglio, con un notevole +18% nei primi sette mesi del 2011 (dati Coldiretti). In Italia la produzione di aglio interessa oltre 3000 ettari di terreno, per una produzione attorno ai 30 milioni di chili e di conseguenza i consumi sono soddisfatti per quasi il 50% dalle importazioni.
I dati però non tengono conto delle 'triangolazioni' commerciali, spesso usate per modificare l'origine del prodotto e non pagare i dazi, con perdite al fisco per milioni di euro e, aggiunge Coldiretti, "danni ai produttori comunitari di aglio".

Le eccellenze italiane
A rischio ci sono infatti i tanti agli che sono vere e proprie eccellenze, conosciute e apprezzate in tutto il mondo e celebrate dai ricettari culinari: l'aglio rosso di Sulmona e l'aglio polesano, l'aglio bianco di Vessalico, l'aglio dell'Ufita, l'aglio di Molino dei Torti, l'aglio di Resia, l'aglio Massese, gli agli rossi di Castelliri, di Nubia, di Proceno, il maremmano e l'aglio di Monticelli sono solo alcuni esempi delle specialità offerte sul territorio nazionale.
Ma se l'Italia gioca le proprie carte sulla qualità, per quanto riguarda la quantità la proporzione è a dir poco schiacciante: sempre secondo i dati di Coldiretti, la produzione cinese che potrebbe essere commercializzata con marchio comunitario Igp è pari a cinque volte il totale della produzione comunitaria.

...questione di sicurezza alimentare
Non è solo una questione di numeri, però: a preoccupare è anche la sicurezza alimentare di milioni di consumatori: oltre a essere stata spesso al centro di denunce dell'Olagf, l'Ufficio anti-frodi dell'Ue per le 'triangolazioni' commerciali ricordate da Coldiretti, nel 2010 la Cina ha conquistato anche il triste primato nel numero di notifiche per prodotti alimentari irregolari perché contaminati dalla presenza di micotossine, additivi e coloranti al di fuori dalle norme di legge, da parte dell'Unione europea. "Su un totale di 3.291 allarmi per irregolarità ben 418 (il 13%) - conclude la Coldiretti - hanno riguardato la Cina per pericoli derivanti dalle contaminazioni, dovute sopratutto a materiali a contatto con gli alimenti, sulla base della Relazione sul sistema di allerta per gli alimenti".
"Se per un verso è importante che ci sia un mutuo riconoscimento delle denominazioni di origine tra Unione europea e Cina, rimane il timore per la reazione del consumatore europeo, che potrebbe essere tratto in inganno dal marchio comunitario, scambiando il prodotto cinese per un prodotto dell'Unione europea", conclude Lorenzo Bazzana, responsabile dell'Area economica della Coldiretti.



Fonte: Agronotizie


martedì 26 maggio 2015

Mercurio nel pesce: come evitare il problema?

Con una sua inchiesta, Altroconsumo ha portato in laboratorio 46 campioni di pesci di grossa taglia tra palombi, smerigli, spada, tonni e verdesche. Brutta sorpresa perché il mercurio c’è quasi sempre e, quasi due volte su dieci, supera i limiti di legge. Ma un modo per evitarlo c’è: vediamo come.

La presenza di mercurio nei pesci grossi è un rischio noto. I risultati dell’indagine di Altroconsumo sono anche peggiori di quanto si temeva. Durante l’inchiesta, non soltanto sono state trovate tracce di questo metallo in tutti i campioni portati in laboratorio, ma in molti, troppi casi, sono state rilevate quantità che alla lunga possono rappresentare un rischio per la salute, soprattutto per i bambini e le donne in gravidanza.





Otto campioni superano i limiti di legge
Su 46 tranci di pesce (spada, tonno, smeriglio, verdesca, palombo) esaminati, ben otto sono addirittura risultati fuori legge, a causa di un contenuto di mercurio superiore a 1 mg/kg, il limite già generoso che la normativa prevede per i pesci particolarmente soggetti alla presenza di questo inquinante (mentre per i pesci meno a rischio il limite è 0,5 mg/kg). Ancora di più, ben 12, sono risultati i campioni a norma di legge ma che hanno comunque una quantità di mercurio tale da renderli sconsigliabili a donne gravide e bambini.
Quali rischi si corrono
I problemi derivano principalmente dal metilmercurio, la forma di mercurio legata all'azione di alcuni microrganismi acquatici: è di gran lunga la forma di mercurio organico più comune nella catena alimentare e anche la più tossica. Il metilmercurio ha infatti maggiore capacità di penetrare nel nostro organismo, si accumula soprattutto nei globuli rossi ed è così trasportato in giro attraverso il sangue. Arriva alla ghiandola mammaria e passa nel latte materno. Contrariamente al mercurio inorganico, il metilmercurio è inoltre in grado di attraversare la placenta, la barriera cerebrale e quella cerebrospinale, raggiungendo così cervello e sistema nervoso centrale. Studi recenti hanno confermato il nesso tra l’esposizione fetale al metilmercurio e il ridotto sviluppo neurologico del bambino. Non sono stati evidenziati effetti negativi a livello neurologico nel caso della popolazione adulta.
Evitare il problema: ecco come
1.      Impara a scegliere i pesci che sono meno soggetti all'inquinamento da mercurio. Si tratta dei pesci di taglia più piccola e di quelli non carnivori. Infatti il mercurio tende ad accumularsi nei pesci predatori, quelli che si nutrono di altri pesci, “ereditandone” la quota che le loro prede avevano a loro volta immagazzinato.
2.      Per gli adulti, è bene non consumare più di una porzione alla settimana di pesci predatori, noti per la loro contaminazione da metilmercurio: parliamo di spada, tonno, squalo, verdesca, smeriglio, palombo, marlin, luccio.
3.      Queste specie andrebbero alternate con altre meno contaminate: sardine, sgombri, branzini, orate, sogliole, trote, salmone e molti altri.
4.      Le donne che hanno programmato una gravidanza, gravide o in allattamento e i bambini dovrebbero evitare del tutto il consumo di pesci predatori per limitare i rischi del metilmercurio sul sistema nervoso in via di sviluppo.


Classificazione e cenni storici sul mercurio

Il mercurio è un metallo che si presenta allo stato liquido a temperatura ambiente. In tale stato non è tossico, lo sono i vapori se inalati, i sali inorganici solubili e i derivati organici. Questi ultimi sono quelli che destano maggior preoccupazione, in particolare il metilmercurio. Questo composto può essere prodotto dalle lavorazioni industriali o dalla flora batterica a partire da mercurio metallico.
Il problema del mercurio come inquinante scoppiò negli anni '50 in Giappone, nella Baia di Minamata, dove una grande fetta della popolazione si ammalò di una grave malattia a carico del sistema nervoso a causa dell'ingestione prolungata di pesce contaminato da mercurio, scaricato da una fabbrica che operava nelle vicinanze della baia. Fenomeni simili sono avvenuti anche in altre parti del mondo.
Il mercurio presente nell'acqua viene ingerito dal plancton e risale via via la catena alimentare diventando sempre più concentrato. I pesci che sono al vertice della piramide alimentare arrivano ad avere una concentrazione da 3000 a 27000 volte maggiore di quella dell'acqua nella quale vivono. Nell'uomo avviene un'ulteriore concentrazione e quando il mercurio nel cervello supera certi valori, sopraggiungono i problemi neurologici. È il cosiddetto fenomeno del bioaccumulo.
Il mercurio che ingeriamo proviene, appunto, in massima parte dal pesce, soprattutto dai predatori di grossa taglia come il tonno, il pesce spada, il palombo, l'anguilla e il luccio.
Solitamente i pesci più contaminati contengono una quantità di mercurio pari a 0.1-0.3 ppm (parti per milione), ma quelli che vivono in acque molto contaminate (per esempio quelle del Reno in Germania) possono arrivare a 2 ppm.


Per finire, fonte ANSA:

“L’Agenzia spagnola della Sicurezza Alimentare (Aesan) ha formalmente raccomandato che donne incinte e bambini sotto i tre anni non consumino tonno e pesce spada per la presenza in questi pesci di mercurio, riferisce oggi la stampa di Madrid. Finora la Aesan consigliava che le donne incinte e i bambini sotto i tre anni non consumassero ogni settimana più di 100 grammi di pesce spada e di due razioni di tonno. Ma una recente revisione dei parametri, ha detto a El Pais il responsabile gestione rischi dell'agenzia Victorio Teruel, ha indicato ''che non solo non c'è margine per un rilassamento ma che anzi la maggior parte dei bambini e delle donne incinte raggiungono già i limiti massimi accettabili''. Tonno rosso e pesce spada accumulano nei tessuti grassi il mercurio che assorbono nella forma più tossica, il metilmercurio, una sostanza che può provocare alterazioni gravi nello sviluppo neuronale del feto e dei bambini piccoli. Le nuove raccomandazioni della Aesan prevedono anche che i bambini fra i 3 e i 12 anni non consumino ogni settimana più di 50 grammi di questi pesci.”

Auguri




Fonte http://www.altroconsumo.it/alimentazione/sicurezza-alimentare/news/mercurio-nel-pesce

http://www.cibo360.it/alimentazione/cibi/pesce/tossicita.htm

domenica 24 maggio 2015

Farina, parte seconda

Molte persone scelgono di mangiare pane, pasta e prodotti realizzati con farine integrali in quanto migliori a livello nutrizionale e più sani.
Quando si va al supermercato, però, ci si trova di fronte ad una serie di farine e prodotti che seppur etichettati come integrali, in realtà proprio integrali non sono.
Ciò è perfettamente legale, nel senso che la legge n.187 del 9 febbraio 2001 stabilisce che una farina può definirsi integrale quando il tasso di ceneri (minerali) è compreso tra 1,30 e 1,70 su cento parti di sostanza secca. Ciò significa che si può etichettare come integrale anche un prodotto realizzato con farina raffinata a cui è stata aggiunta successivamente della crusca per renderla più scura. La maggior parte delle farine “integrali” in commercio e i prodotti “integrali” sono realizzati proprio così.

Il motivo principale per cui i produttori scelgono di fare ciò è che le farine davvero integrali si conservano per un tempo decisamente minore rispetto a quelle raffinate: si ha ovviamente invece tutto l’interesse a realizzare dei prodotti che si deteriorano molto lentamente in modo tale che possano rimanere sugli scaffali dei supermercati più a lungo.



Come difendersi da questo? 
Innanzitutto leggendo l’etichetta dei prodotti o della farina che volete acquistare.
L’ingrediente base deve essere solamente farina integrale e non farina bianca (0- 00) più crusca o cruschello, altrimenti i benefici di scegliere integrale si azzerano e comprerete a caro prezzo prodotti di scarsa qualità.
Nel caso dei prodotti già pronti, poi, si può guardare anche il colore che deve essere generalmente scuro e abbastanza uniforme  e non chiaro con dei puntini più scuri (altrimenti si tratta appunto della crusca aggiunta).


DOVE TROVARE LA VERA FARINA INTEGRALE

Nei tradizionali supermercati è davvero difficile trovare dell’originale farina integrale. Certamente le farine integrali biologiche sono le più sicure da acquistare, anche se è sempre bene leggere l’etichetta perché il problema dell’aggiunta di crusca si può sempre presentare.
La scelta migliore è senza dubbio quella di acquistare farine integrali non solo biologiche ma anche macinate a pietra.
Alternativa per i veri cultori dei prodotti fatti in casa è quella di acquistare un piccolo mulino casalingo e macinare la farina fresca ogni volta che serve procurandosi, se possibile sempre da piccoli produttori della zona, del grano biologico.
Per quanto riguarda il pane, è davvero difficilissimo trovarlo realmente integrale. Chiedete nei negozi biologici oppure, meglio ancora, preparatelo da soli in casa con pasta madre. 


Auguri.





fonte http://www.greenme.it/

venerdì 22 maggio 2015

Come conservare gli alimenti in frigorifero


La temperatura giusta per un frigorifero è di 5°C sulla mensola centrale. 
Tuttavia, la temperatura non è costante in ogni parte del frigorifero. Sfruttando le diverse temperature, potete conservare in maniera ottimale tutti i vostri alimenti.
Il punto più freddo del frigorifero è la mensola più bassa, sul cassetto per le verdure (2°C). Questo è il posto più adatto a per conservare la carne e il pesce fresco. Posizionandoli nel punto più basso si evita inoltre che sgocciolino su altri alimenti.
Le uova, i prodotti caseari, gli affettati, gli avanzi, le torte e i prodotti contrassegnati con la scritta “dopo l’apertura conservare in frigorifero” sono da posizionare sulle mensole centrali (4-5°C) e su quella più alta (8°C). I cassetti in basso (fino a 10°C) sono destinati alle verdure e alla frutta che potrebbero essere danneggiati da temperature più basse. 
Gli scompartimenti o le mensole all’interno della porta sono i punti più caldi del frigorifero (10-15°C) e sono destinati ai prodotti che necessitano solo di una leggera refrigerazione, come le bibite, la senape e il burro.



Non riponete troppi alimenti nel frigorifero. Se lo riempite al punto che non c’è più spazio tra i prodotti, l’aria non riuscirà a circolare e la distribuzione della temperatura verrà ostacolata. Se lasciate accumulare la brina, il frigorifero non funzionerà in modo efficace. Inoltre, man mano che la brina cresce, lo spazio si riduce. Sbrinate regolarmente il vostro frigorifero e usate acqua calda con un poco di aceto per togliere gli odori.

Ricordatevi che alcuni cibi non hanno bisogno di essere refrigerati, anzi, potrebbero esserne danneggiati: è il caso di frutta esotica, pomodori, fagiolini, cetrioli e zucchine. Il pane diventa raffermo più velocemente se conservato in frigorifero. Frutta e verdura che devono ancora maturare devono essere conservate a temperatura ambiente.

D’estate, il termostato dovrà essere spostato su una temperatura più fredda rispetto all’inverno. Assicuratevi che la porta del frigorifero sia sempre ben chiusa, apritela solo quando è necessario e richiudetela il più presto possibile.
Avvolgete o coprite gli alimenti per evitare che perdano umidità e sapore. Mettete gli avanzi in contenitori puliti, bassi e forniti di coperchio. Non mettete grosse quantità di alimenti caldi nel frigorifero perché, così facendo, la temperatura salirà; lasciate che il cibo si raffreddi prima a temperatura ambiente (ricordate che tutti gli avanzi di alimenti cucinati devono essere riposti nel frigorifero entro due ore da quando sono stati serviti).


Capitolo uova: Si conservano in frigorifero o no?

Perché le uova in vendita non sono tenute in frigo e sulla confezione si indica “da conservare in frigorifero dopo l'acquisto”? 

Il fatto è che se si acquistano uova fredde c'è il rischio, naturalmente più d'estate che d'inverno, che si riscaldino nel viaggio, per poi essere di nuovo raffreddate a casa. Questi shock termici possono favorire la rottura della cuticola esterna del guscio: evento da evitare, visto che è la maggiore protezione dell'uovo dal passaggio di batteri. Se si acquistano uova già tenute in frigorifero bisognerà aver cura di non farle riscaldare nel viaggio dal negozio a casa. Una volta a casa, nessun dubbio: vanno tenute al fresco. Il freddo rallenta i fenomeni di degradazione dell'uovo e lo sviluppo dei microrganismi. Un altro “segreto di freschezza” è quello di preferire le uova confezionate nel cartone, che evita la formazione di condense all'interno della confezione e permette una conservazione più igienica delle uova (oltre ad essere in materiale riciclabile).

Auguri.






fonte http://www.eufic.org/article/it/artid/corretta-conservazione-alimenti-frigorifero/